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Roma spera in Expo 2030 per risollevarsi

Secondo il rapporto di Bankitalia-Camera di Commercio, la situazione economica e imprenditoriale di Roma non ha registrato progressi significativi tra il 2008 e il 2018. La città sembra dipendere in gran parte dai grandi eventi come principale motore di sviluppo economico e, in questo contesto, l’esposizione universale del 2030 potrebbe rappresentare un’ottima occasione per la Capitale di prendere una boccata d’ossigeno.

Obiettivo Expo 2030 per Roma, ecco in che modo la città potrebbe beneficiarne

Negli ultimi dieci anni, mentre altre capitali europee e città italiane come Milano hanno mostrato progressi significativi nello sviluppo e nel recupero economico, Roma sembra essere rimasta indietro. La città eterna ha peggiorato la sua situazione, e i suoi abitanti stanno affrontando maggiori difficoltà durante i periodi di crisi. Questo quadro allarmante emerge da una ricerca congiunta condotta da Banca d’Italia e la Camera di Commercio di Roma. Tuttavia, c’è la speranza che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), l’evento del Giubileo del 2025 e forse l’Expo del 2030 possano rappresentare opportunità cruciali su cui Roma può fare affidamento per risalire.

L’analisi condotta utilizzando i dati di Banca d’Italia e la Camera di Commercio offre una visione impietosa del decennio che va dal 2008 al 2018 a Roma. Questo periodo, che copre l’amministrazione di Gianni Alemanno e quasi la metà di quella di Virginia Raggi, sembra essere stato caratterizzato da una mancanza di adeguata reazione alla crisi finanziaria. Si è registrata una diminuzione degli investimenti pubblici e privati, un aumento dell’occupazione in lavori meno qualificati e un rendimento deludente delle grandi imprese. È importante notare che questi dati precedono l’impatto della pandemia da Covid-19. Il rapporto, intitolato “L’economia di Roma negli anni Duemila. Cambiamenti strutturali, mercato del lavoro, diseguaglianze“, analizza questi cambiamenti strutturali e individua i punti di forza su cui è possibile basare una ripresa.

Il presidente della Camera di Commercio, Lorenzo Tagliavanti, ha espresso una critica netta nei confronti del “decennio perduto” dell’economia romana. Questo periodo è stato caratterizzato da una mancanza di crescita nella produttività e nella capacità di creare ricchezza a Roma. La città ha perso posizioni non solo rispetto ad altre capitali europee ma anche rispetto ad altre città italiane, con Milano come punto di riferimento cruciale. Roma non è stata in grado di adattarsi a un’epoca di profondi cambiamenti legati alla globalizzazione e all’innovazione. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti positivi, come la reazione sociale della città, la crescita delle imprese (sebbene in settori tradizionali) e l’aumento dell’occupazione, anche se spesso in lavori precari. In sintesi, dal punto di vista economico, il decennio è stato deludente.

Foto | ANSA/ALESSANDRO DI MEO – Happyroma.it

I numeri rivelano una situazione preoccupante per l’economia di Roma e le ragioni dell’immobilismo economico rispetto ad altre città europee sono chiaramente identificabili. Nel 2001, l’area metropolitana di Roma aveva un PIL pro capite di circa 55.000 dollari, posizionandosi sopra città come Berlino, Madrid e Atene, e poco al di sotto di Parigi. Tuttavia, nel corso di circa vent’anni, fino al 2018, questo indicatore è sceso dell’11%.

La diminuzione del PIL pro capite è in gran parte attribuibile a un calo ancora più significativo della produttività del lavoro, misurata come il rapporto tra il PIL e il numero di occupati, che è diminuita del 15,8%. Questo è avvenuto mentre altre città come Berlino, Madrid e soprattutto Parigi hanno registrato aumenti nella produttività del lavoro. Settori come il commercio e la ristorazione, a bassa intensità di conoscenza, sono cresciuti notevolmente, ma ciò ha determinato una perdita di specializzazione, principalmente a causa del turismo di massa e del calo della spesa turistica.

Questi fattori contribuiscono a spiegare l’immobilismo economico di Roma rispetto ad altre città.

Quindi, da un lato, Roma può vantare centri di ricerca e università di fama mondiale che formano professionisti altamente specializzati. Dall’altro lato, la città sembra produrre principalmente lavoratori impiegati in settori a bassa intensità di conoscenza, spesso legati all’industria “low cost”. Questa disparità crea una profonda spaccatura sociale, con conseguenze negative sulla qualità della vita. Nel 2019, la percentuale di abitanti soddisfatti a Roma è scesa al 74,2%, situandosi al di sotto delle percentuali di Parigi, Berlino e Madrid, e avvicinandosi a quella di Atene.

Al quadro economico si aggiunge anche il ruolo della pubblica amministrazione, che a Roma ha registrato una diminuzione sia in termini di personale che di investimenti. La spesa pubblica è aumentata fino al 2012, ma successivamente è diminuita in modo significativo, posizionandosi in termini pro capite a valori costantemente inferiori rispetto ai comuni italiani.

Tutto ciò contribuisce a rendere comprensibile l’immobilismo economico di Roma e le sfide che la città deve affrontare per migliorare la qualità della vita e rilanciare l’economia.

Quello che è avvenuto in questi ultimi 20 anni a Roma è il riflesso di ciò che è successo nel Paese” ha spiegato il vice capo dipartimento Economia e Statistica di Banca d’Italia, Andrea Brandolini.

Durante il periodo dal 2000 al 2019, il Pil pro capite di Roma ha subito una perdita di oltre dieci posizioni rispetto alla media europea a parità di potere d’acquisto. Questo declino è attribuibile a diversi fattori strutturali, tra cui una distribuzione prevalentemente orientata verso le piccole e medie imprese, che spesso hanno difficoltà nell’innovazione e nell’accesso ai mercati internazionali. Altri fattori critici includono i livelli di istruzione inferiori alla media, l’inefficienza della pubblica amministrazione e la mancanza di concorrenza in vari settori.

È importante notare che, nonostante questi problemi, l’economia di Roma e dell’Italia ha dimostrato una notevole resilienza durante la pandemia, il che rappresenta un motivo di speranza. Tuttavia, le sfide rimangono significative. Ad esempio, la qualità del servizio dei taxi a Roma è stata definita inaccettabile, e il saldo migratorio negativo dei laureati indica che la città sta perdendo capitale umano. Inoltre, le difficoltà legate all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) riflettono la debolezza strutturale dell’amministrazione italiana.

È evidente che Roma deve affrontare una serie di questioni economiche e amministrative per migliorare la sua posizione e il benessere dei suoi cittadini. Ad esempio, il basso numero di dipendenti pubblici rispetto alla popolazione indica la necessità di migliorare le risorse umane e l’efficienza nell’ambito dell’amministrazione pubblica. Tutto ciò richiede una riflessione profonda sul futuro, considerando un mondo in continua evoluzione.

L’attrattività di Roma è diminuita e la pubblica amministrazione sembra aver abdicato al suo ruolo, secondo quanto sottolineato da Angelo Camilli, presidente di Unindustria, un importante partner della città nella corsa a Expo 2030. Il calo degli investimenti è un elemento significativo nella crescita della città e nel suo valore aggiunto. Inoltre, c’è una sfida nella collaborazione tra le istituzioni di ricerca e le imprese.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) è stato indicato come un’opportunità per affrontare queste sfide, ma c’è bisogno di passare dalla semplice spesa pubblica all’implementazione di progetti strutturali che considerino il periodo successivo al Pnrr. Inoltre, è importante riconoscere i punti di forza delle imprese locali, poiché Roma e il Lazio ospitano settori industriali significativi.

La politica industriale dovrebbe concentrarsi sulla crescita e lo sviluppo dell’impresa locale, riportando questi aspetti al centro dell’agenda politica. Questi sforzi potrebbero contribuire a rilanciare l’attrattività economica e lo sviluppo di Roma.

Federico Liberi

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